Viviamo in un posto meraviglioso. Avendo modo di ammirare vere e proprie meraviglie a livello paesaggistico e architettonico, spesso si trascura la storia e le persone che si celano dietro luoghi unici della nostra Isola come potrebbe esserlo Taormina.
Le origini di questa città potrebbero essere suggestive quasi al pari del panorama che si gode dal santuario di Madonna della Rocca ma, come gli storiografi Greci erano abilissimi nel fare, ci si trova davanti a un cocktail dove nomi, luoghi ed eventi si legano indissolubilmente.
Non si può parlare delle origini di Taormina senza menzionare quelle di Νάξος. Secondo quanto riportato dallo storico Eforo, la fondazione della città, le cui rovine si trovano nella baia di Schisò, a Giardini, risale all’ottavo secolo a.C. Avvenne per mano di coloni provenienti da Calcide, nell’isola di Eubea, approdati sotto la guida dell’ecista ateniese Theokles nella futura prima colonia greca di Sicilia. Sulla storia di Naxos ci sono giunte davvero poche notizie ma si sa che cadde in disgrazia nel 403 a.C. , quando venne rasa al suolo dalle truppe del tiranno siracusano Dionisio il Vecchio.
Questo momento fu cruciale perché il tiranno aveva apprezzato l’ottima posizione del vicino Monte Tauro al punto da tentare, sempre nel 403 a.C. un attacco, rivelatosi, però, fallimentare. Un secondo attacco al Tauro, stavolta riuscito, avvenne circa otto anni dopo, quando Dionisio vi instaurò una colonia destinata a ospitare i Siculi e i diversi gruppi che, come mercenari, facevano parte dell’immenso esercito siracusano.
Nel 358 a.C., però, in seguito alla morte del potentissimo despota (367 a.C.) e grazie all’ambizione del condottiero Andromaco, venne fondato sullo stesso monte il nucleo della città di Ταυρομένιον. In una Sicilia orientale logorata dalla guerra tra la fazione tirannica e quella filo-democratica, venne inviato da Corinto un cittadino, Timoleone, che riuscì, secondo quanto scritto dallo storico Timeo, a mettere pace nell’Isola.
Da alcuni scavi avvenuti nel quartiere di Santa Domenica, detto “U bùricu”, sono emerse numerose epigrafi marmoree, scritte utilizzando un dialetto vicino al dorico, che mostrano Taormina come una città pacifica, non dotata di un proprio esercito o flotta, e i Tauromeniti come popolazione dedita esclusivamente al governo della propria città. Le finanze cittadine erano impiegate nella cura del γυμνάσιον, delle strade e nell’olio usato dagli atleti; olio che, per via delle notti quasi sempre rischiarate a sufficienza dalla luna, non era molto impiegato nell’illuminazione pubblica.